Decreto ingiuntivo, il creditore opposto può proporre domande nuove?
28 Dicembre 2023 Decreto ingiuntivoDiritto processualeOpposizione legaleRiforme giudiziarieTutela dei creditori
Il decreto ingiuntivo è un provvedimento emesso dal Giudice in seguito a una richiesta di pagamento avanzata da un creditore nei confronti di un debitore e consente, dunque, al creditore di ottenere rapidamente un titolo esecutivo per il recupero del credito.
Se il debitore desidera opporsi al decreto ingiuntivo, può presentare una domanda di opposizione.
L’opposizione deve essere presentata entro il termine previsto dall’art. 645 c.p.c. (ovvero entro il termine di 40 giorni dalla notifica del decreto) e deve essere basata su argomenti validi, come: inesistenza del debito, pagamento già effettuato e prescrizione del diritto al credito etc.
La domanda di opposizione rappresenta uno strumento legale attraverso il quale il debitore può contestare la validità del decreto ingiuntivo e fornire le proprie difese.
In questo contesto, l’opposto non propone una “domanda nuova”, ma piuttosto una difesa contro la richiesta di pagamento avanzata con il decreto ingiuntivo.
Infatti, durante il procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, il creditore (l’opposto) ha il ruolo di convenuto e non può generalmente avanzare nuove domande o nuove richieste, ma può difendersi dalle obiezioni sollevate dal debitore opponente.
È importante che il debitore si rivolga a un avvocato per preparare e presentare correttamente la domanda di opposizione, in quanto ci sono regole specifiche da seguire e argomenti legali da sostenere per contestare efficacemente il decreto ingiuntivo.
Se sorgono domande specifiche riguardo alla possibilità del creditore di avanzare nuove richieste durante il procedimento di opposizione è fondamentale consultare le norme e, se necessario, ottenere consulenza legale per comprendere le opzioni disponibili.
Del resto, la Corte di Cassazione, con la recente ordinanza n. 32933 del 28.11.2023, ha definito una questione che, da tempo, divideva le aule di Tribunale ovvero se l’opposto a decreto ingiuntivo può proporre una nuova domanda, nel giudizio di opposizione, contro il debitore opponente?
È stato così parzialmente accolto il ricorso di una s.r.l. che alla domanda di adempimento delle obbligazioni seguite ad una serie di fatture, a fronte dell’opposizione delle società, ha sostituito – con la propria “riconvenzionale” – la domanda di risoluzione del contratto per inadempimento, “certamente connessa per incompatibilità con quella già azionata in via monitoria, oltre che riguardante la medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, cumulando con tale nuova domanda anche quella di risarcimento”, secondo quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità nell’interpretare l’1453, comma tre, c.c., i Giudici hanno ritenuto che la parte che “chieda la risoluzione del contratto per inadempimento nel corso del giudizio dalla stessa promosso per ottenere l’adempimento, può domandare, contestualmente all’esercizio dello ius variandi”, anche “il risarcimento dei danni derivanti dalla cessazione degli effetti del regolamento negoziale” (cfr. Cass. Civile, Sezioni Unite, 11.4.2014, n. 8510).
Ma come si è arrivati a tale approdo?.
La Cassazione ricorda che se è vero che soltanto l’opponente, nella sua posizione sostanziale di convenuto, può, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, in via generale, proporre domande riconvenzionali, mentre l’opposto, rivestendo la posizione sostanziale di attore, non può avanzare domande diverse da quelle fatte valere con l’ingiunzione, tuttavia ciò non esclude che (ai sensi dell’articolo 645, comma due, c.p.c.) in seguito all’opposizione il giudizio si svolga “secondo le norme del procedimento ordinario davanti al Giudice adito”.
La decisione sembra basarsi sulla possibilità di applicare l’art. 183 c.p.c., che consente all’attore di proporre domande ed eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto.
In questo caso, sembra che l’opposto possa avvalersi di un “ius variandi”, ovvero della facoltà di variare la sua richiesta in risposta alle nuove domande o eccezioni sollevate dal convenuto.
Rispetto a tale approdo vi è però stato un passo in avanti.
Il tema dell’ammissibilità della cosiddetta “riconvenzionale” dell’opposto, infatti, ha conosciuto nel corso degli anni un ulteriore sviluppo, grazie alla possibilità, sancita dalle stesse Sezioni Unite, di proposizione in corso di causa, da parte di chi agisca in giudizio, di una “nuova” domanda, definita come “complanare”, la quale “immutato l’elemento identificativo soggettivo delle persone”, e ferma restando la necessità che essa debba “pur sempre riguardare la medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio con l’atto introduttivo o comunque essere a questa collegata”, può sostituirsi a quella o coesistere con essa in un rapporto di subordinazione” (Cass. Civile, Sezioni Unite, 13.9.2018, n. 22404).
Dunque, conclude la decisione in esame: “il convenuto opposto può proporre con la comparsa di costituzione e risposta tempestivamente depositata una domanda nuova, diversa da quella posta a fondamento del ricorso per decreto ingiuntivo”, e ciò persino “nel caso in cui l’opponente non abbia proposto una domanda o un’eccezione riconvenzionale e si sia limitato a proporre eccezioni chiedendo la revoca del decreto opposto”, sempre che, tuttavia, “tale domanda si riferisca alla medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio, attenga allo stesso sostanziale bene della vita e sia connessa per incompatibilità a quella originariamente proposta, ciò rispondendo a finalità di economia processuale e di ragionevole durata del processo e dovendosi riconoscere all’opposto, quale attore in senso sostanziale, di avvalersi delle stesse facoltà di modifica della domanda riconosciute, nel giudizio ordinario, all’attore formale e sostanziale dall’art. 183 cod. proc. civ.”.
In sintesi, la Corte di Cassazione sembra sostenere che, nonostante l’opposto abbia generalmente la posizione sostanziale di attore nel procedimento di opposizione, potrebbe avere il diritto di proporre una nuova domanda, definita “complanare”, nel corso del giudizio di opposizione.
Questa nuova domanda dovrebbe riguardare la stessa vicenda sostanziale dedotta inizialmente e dovrebbe essere connessa o incompatibile con la richiesta originariamente proposta.
È importante notare che questa interpretazione potrebbe variare in base alla giurisdizione e alle specifiche circostanze del caso.
A cura dell’Avvocato Eleonora Rizzi.